Umberto Eco, Franco Maria Ricci. LABIRINTI. Storia di un segno

Dal 18 Aprile 2020 la mostra multimediale Umberto Eco, Franco Maria Ricci. LABIRINTI. Storia di un segno. trasformerà lo splendido Labirinto della Masone a Fontanellato in un percorso di parole, pensieri ed immagini. Un itinerario lungo cui si riceveranno suggestioni per riflettere sulla natura del labirinto e sul suo valore simbolico. Se non conoscete il parco culturale voluto da Franco Maria Ricci, questa mostra è l’occasione giusta per visitarlo.

Il Labirinto della Masone partecipa agli eventi culturali di Parma 2020 con una mostra originale che lo trasformerà in un metalabirinto. Parlerà di sé e lo farà prendendo in prestito voci e parole di due personaggi legati in vita all’editore ed intellettuale Franco Maria Ricci: Umberto Eco e Jorge Luis Borges. Una parte della mostra ripercorrerà la storia dei labirinti del mondo attraverso una proiezione a 360 gradi di alcune opere d’arte. Prestiti importanti da musei internazionali dimostreranno che il labirinto è un simbolo diffuso in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Si partirà dal mito di Cnosso fino al Minotauro di Watts, dalla rivista Minotaure di Skira al codice di Lelio Pittoni, un antico volume illustrato con labirinti.

Questa mostra trasmette perfettamente l’idea che c’è dietro alla costruzione di questo labirinto, che Franco Maria Ricci, editore ed intellettuale, aprì nel 2015 ma che immaginò già 30 anni prima. Le forme ed i percorsi, gli enigmi, le fermate e le ripartenze sono per lui il simbolo della vita. Egli ne fu affascinato e fantasticò su di un luogo dove passeggiare senza perdersi. E quando dovette realizzarlo pensò di adoperare il bambù. Affascinato dai suoi flessibili fusti, il parco ne ospita circa 20 specie, per un totale di 200.000 esemplari. Piante formidabili anche contro l’inquinamento, perché rilasciano una quantità enorme di ossigeno. Al labirinto si sono affiancati altri due spazi legati a Ricci ed alle sue passioni: il Museo e la Biblioteca. Esse ospitano opere d’arte e testi che vanno dal ‘500 al ‘900. Le varie collezioni sono legate indissolubilmente ai gusti di Ricci tanto da considerarle un’unica entità sebbene abbiano natura diversa. Questo progetto è divenuto un modo per restituire a Parma ed a Fontanellato parte di quello che il suo ideatore ha ricevuto da questa terra. Se siete curiosi e volete conoscere questa figura di intellettuale, potrete visitare a Parma fino all’8 Agosto la mostra dedicata a lui, alla sua attività editoriale, alle sue invenzioni grafiche e alla sua passione collezionistica attraverso immagini, filmati inediti e testimonianze di amici come Bernardo Bertolucci, Inge Feltrinelli, Vittorio Sgarbi e lo spettacolare allestimento con le copertine delle sue edizioni.

Umberto Eco, Franco Maria Ricci. LABIRINTI. Storia di un segno
 Il Labirinto della Masone è aperto tutti i giorni, inclusi i festivi.  Apertura dalle 10.30-19. 

Per Informazioni: Labirinto della Masone

I Mesi e le Stagioni di Benedetto Antelami

Dal 20 Maggio un nuovo allestimento coinvolgerà le opere di Benedetto Antelami a Parma. Un’occasione imperdibile per guardare da vicino le sue sculture, immaginando come le guardò l’autore quasi otto secoli fa.
Vi invitiamo a scoprire il loro fascino attraverso una disposizione straordinaria pensata per Parma 2020.

L’importanza di un nuovo punto di vista è cruciale ed è sicuramente emozionante poter ammirare da vicino opere d’arte importanti. A volte la collocazione a non permette di cogliere a pieno tutti gli aspetti dei grandi capolavori e dei discreti manufatti. La distanza distorce, infatti, la percezione delle grandezze e dei dettagli, né permette di accorgerci degli stratagemmi che gli artisti adoperano per rendere al meglio gli effetti da tali altezze. Ecco perché l’iniziativa di abbassare le opere temporaneamente all’altezza dell’occhio dell’osservatore è un’esperienza imperdibile.

In occasione di Parma 2020 è stato ideato un allestimento che porterà i visitatori ad ammirare le opere di Benedetto Antelami da un nuovo punto di vista. Le statue dei Mesi e delle Stagioni nel Battistero di Parma saranno spostate dal primo loggiato alle nicchie sottostanti. Una pedana elevatrice sarà invece installata nel Duomo vicino alla Deposizione di Cristo, permettendo così all’osservatore di cogliere i particolari di questo gioiello dell’arte romanica. Potremo così immaginare come l’Antelami dovette guardare le sue opere o ruberemo ai restauratori, per una volta, la straordinaria sensazione di avere un punto di osservazione privilegiato.
I mesi e le stagioni: uno spunto di riflessione direttamente dal XIII secolo. L’inaugurazione del nuovo allestimento sarà accompagnata da varie manifestazioni dal carattere multidisciplinare, i cui temi hanno tratto ispirazione dalle stesse sculture. Le statue del Battistero di Parma furono realizzate dall’Antelami dal 1196 al 1216 e comprendono i mesi e due stagioni. Con molta probabilità il ciclo doveva decorare un portale dell’edificio, ma rimasto incompiuto, fu smontato nelle sue parti e posto all’interno. Le figure raffigurano i Mesi e le stagioni attraverso il lavoro nei campi, documentandolo mese per mese. Già altre volte gli artisti si erano cimentati con questo soggetto, ma per la prima volta dopo secoli veniva adoperato un più forte naturalismo nel ritrarre utensili e piante. Inoltre il lavoro non è più la condanna divina nata dal peccato originale, ma ha un valore positivo, nobilitante e salvifico. Esprime un rapporto di pieno equilibrio tra uomo e ambiente che al tempo dell’artista caratterizzava la società rurale. In un mondo dove questi equilibri sono del tutto sbilanciati, il tema è di grande attualità. Così “Il tempo della terra e il lavoro dell’uomo” diventa l’argomento delle sei conferenze che si terranno sul sagrato della cattedrale e delle sei meditazioni in musica ospitate nel battistero.

Nelle varie realtà diocesane, invece, si spazierà dalle tematiche di pace e speranza, all’equità sociale, all’ecologia. Si terrà invece una parallela stagione di “Conversazioni con l’autore” sul sagrato della Cattedrale.
Dunque dal 20 Maggio ci sarà un’occasione in più per venire a Parma se non l’avete mai fatto e, se già la conoscete, di ritornare a visitarla con occhi nuovi.

Per informazioni: parma2020

Storie d’Egitto

La collezione egiziana dei Musei civici, consistente in un’ottantina di reperti, si costituisce alla fine dell’800, negli anni successivi alla fondazione del Museo. La storia della formazione della raccolta rappresenta un’interessante chiave di lettura museografica dell’epoca e delle modalità di acquisizione dei reperti attraverso acquisti, donazioni e scambi. Dalla frammentarietà delle acquisizioni emerge tuttavia che i direttori del Museo succedutisi nel XIX secolo non perseguirono convintamente l’idea di creare una sezione di egittologia.

Le prime donazioni, da parte di cittadini modenesi tra cui lo stesso fondatore e primo direttore Carlo Boni, risalgono al 1875. Fra gli altri donatori figurano modenesi illustri che contribuiscono in modo rilevante alla formazione di raccolte del Museo, come il Marchese Giuseppe Campori e l’astronomo Pietro Tacchini, il quale, recatosi in Egitto nel 1882 per osservare un’eclissi di sole, ricevette in dono una testa di mummia e tre piccoli coccodrilli imbalsamati che inviò poi al Museo di Modena. Dagli Atti del Museo risulta inoltre che Boni, attorno al 1880, aveva trattato l’acquisizione di alcuni oggetti con un noto mercante e antiquario francese, Charles Le Beuf. Nell’elenco di antichità offerte dal Le Beuf sono presenti, accanto a materiali etnologici e archeologici, reperti che in parte si riveleranno falsi.

La mummia e le altre parti umane (arti e teste) provengono dalla Regia Università di Modena, tuttavia la presenza di parte di questi reperti è accertata in città fin dal 1669, anno in cui risultano negli elenchi della “Ducal Galleria Estense“, a testimoniare che ben prima della formazione del Museo civico l’interesse collezionistico dei duchi d’Este comprese anche le antichità egiziane. La mummia di bambino, in particolare, attestata negli elenchi del 1751, compare insieme a “un corpo imbalsamato; dicesi d’una regina d’Egitto”, della quale, al momento non vi è alcuna traccia. Dopo gli ultimi doni degli eredi di Pietro Tacchini, nel 1906, la raccolta non è più incrementata

I reperti, distribuiti su un ampio arco cronologico, appartengono a categorie diverse, riconducibili alla regalità, al rituale funerario e alla devozionalità templare.

La collezione conta statuette “ushabti” di Nuovo Regno (XVIII-XX dinastia, 1539-1070 a.C) ed Epoca Tarda (XXVI-XXX dinastia, 664-332 a.C.), sei vasi canopi, tra cui un set a nome di Horsiesi (Epoca tarda), amuleti, bronzetti, terracotte. Di grande interesse, un grande scarabeo commemorativo del sovrano Amenhotep III (Nuovo regno, XVIII dinastia, 1388-1351 a.C.), che celebra la sposa Ty. Presenti, inoltre, una mummia egiziana di bambino con cartonnage e sarcofago antropoide moderni, alcune teste e arti umani, oltre a tre piccoli coccodrilli imbalsamati e ad alcune bende di lino provenienti dalle mummie reali scoperte a Deir el-Bahari nel 1881.

L’inaugurazione della mostra il 16 febbraio ai Musei civici sarà preceduta dal 5 all’8 febbraio dal restauro della mummia eseguito da Cinzia Oliva, fra i massimi esperti italiani nel restauro di tessuti archeologici e mummie egiziane, davanti al pubblico ai Musei Civici, mentre nel weekend (9 e 10 febbraio) verranno presentati metodologie e risultati dell’intervento nel settecentesco Teatro Anatomico di via Berengario, in collaborazione col Polo Museale dell’Università UniMoRE.

La mostra, nel grande salone dell’Archeologia al terzo piano del Palazzo dei Musei, si caratterizzerà per un forte richiamo all’esposizione ottocentesca, inserito in un contesto contemporaneo con apparati multimediali. Per consentire a più scuole di fruire di mostra e percorso didattico, l’esposizione prosegue fino al 7 giugno 2020.

Il dialogo con il pubblico più giovane sarà garantito anche dal progetto social Instagram #mummiamo per aggregare immagini e contenuti legati all’immaginario collettivo sulla mummia, dai fumetti, alla cinematografia, alla letteratura.

 

Per maggiori informazioni: www.museicivici.modena.it/it/notizie/storie-degitto-la-riscoperta-della-raccolta-egiziana-del-museo-civico-di-modena

Capolavori senza tempo

Può il design essere “senza tempo”? Possono i designer lavorare al di fuori dei limiti della propria epoca per creare oggetti che si sottraggano alle imprevedibili correnti della moda e dei gusti del momento?
Tutto ciò che viene realizzato rivela le convinzioni, le paure, le speranze e le preoccupazioni di chi lo ha creato.
Il designer investe gli oggetti di significato perché possano essere interpretati anche da chi li guarda. E questo è la base di partenza.
Ma dove si colloca Ferrari nella storia del design?
In prima battuta, il design dà valore estetico a oggetti ordinari. Allo stesso tempo, durante l’ultimo secolo, i designer hanno puntato a una democratizzazione del lusso.
Parlando di Ferrari sicuramente, c’è poco di ordinario (o democratico). E così deve essere, perché una Ferrari è sempre qualcosa di straordinario.
Ed è anche l’esempio più superbo di come un’auto possa diventare un oggetto dalla bellezza eterna.
E la bellezza deve sempre essere rara ed esclusiva. Questo è uno dei più grandi paradossi della sua ricerca e dell’estetica: se tutto fosse bello, niente lo sarebbe.
Il design non abbraccia un solo ambito, ma molti.
Frank Lloyd Wright pensava si trattasse di trarre il meglio dalle possibilità contemporanee.
Per l’architetto Le Corbusier, si trattava di “intelligence made visible”. Jony Ive di Apple ritiene che il design sia il raggiungimento del local maximum, quando si arriva alla perfezione e semplicemente non si potrebbe fare un uso migliore dei materiali.
Ma il design, inevitabilmente, riflette ciò che i filosofi chiamano “lo spirito del tempo”.
L’idrovolante Savoia-Marchetti fu un coraggioso esperimento aeronautico – alle frontiere della conoscenza – che diede agli architetti una lezione sull’economia dei mezzi e sulla funzionalità.
In seguito, durante la ricostruzione, Vico Magistretti ed Enzo Mari furono tra i designer a dare valore artistico ai semplici apparecchi domestici.
Oggi, il raffinato minimalismo di Apple è la risposta alla nostra cultura dematerializzata, in cui i dati intangibili hanno più valore degli oggetti solidi.
Il design non è “arte”. O non proprio. La nostra nozione di arte richiede la presenza di un singolo auteur, tuttavia le forme culturali più coinvolgenti sono il design, la musica pop e il cinema.
Tutto è collaborazione: Casablanca di Micheal Curtiz, forse il più grande film della Storia del Cinema, ha avuto sei sceneggiatori, non un unico autore. Allo stesso modo, la realizzazione di un’automobile coinvolge centinaia di specialisti.
Ma nel momento in cui il design diventa espressione dei desideri collettivi, nel momento in cui insegna al pubblico a godere di una forma pregna di significato e a capire la bellezza di proporzioni e dettagli, nel momento in cui richiede una lettura e un’interpretazione… nel momento in cui crea un linguaggio visuale, eccolo usurpare il ruolo tradizionalmente affidato a pittura e scultura.
Per capire se siamo in presenza di un’opera d’arte è sufficiente chiedersi se un oggetto abbia un quid di contemplativo, se significhi più di quello che appare superficialmente. Prendete una qualsiasi Ferrari… è proprio grazie a questo quid che semplici materiali prendono realmente vita.
Magia? Forse il design è sovrannaturale, come diceva Barthes. O forse i capolavori del design sono immortali… se non addirittura senza tempo.

 

Per maggiori informazioni: musei.ferrari.com/it/modena/mostre-in-corso

ANTHROPOCENE

ANTHROPOCENE. Il titolo è ispirato al nome dell’attuale epoca geologica, definita temporalmente a partire dalla metà del XX secolo, dai membri dell’Anthropocene Working Group. In quest’epoca infatti la specie umana è la causa primaria di un cambiamento permanente del pianeta. Anthropocene infatti è un progetto artistico che indaga l’indelebile impronta umana sulla Terra attraverso le straordinarie immagini di Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier.
Si basa sulla ricerca di un gruppo internazionale di scienziati impegnato nel raccogliere le prove del passaggio dalla precedente epoca geologica, l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa all’Antropocene. Questa è volta a dimostrare che gli esseri umani sono diventati la singola forza più determinante sul pianeta.
Il fotografo Edward Burtynsky e i registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier hanno quindi intrapreso un viaggio intorno al mondo, in tutti i continenti ad eccezione dell’Antartide, per testimoniare i segni irreversibili prodotti dall’attività umana sul pianeta. Combinando fotografia, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica, i tre artisti danno vita a un’esplorazione multimediale di grande impatto visivo. Mostrano così i cambiamenti determinati dall’attività umana sul pianeta e ne testimonia gli effetti sui processi naturali.

La mostra è suddivisa in quattro sezioni che coinvolgono gli spazi del MAST.  Il suo scopo è invitare a riflettere sulla portata e sul significato di queste trasformazioni radicali. È adatta anche ai più piccoli, infatti è possibile organizzare visite calibrate sull’età dei partecipanti: un educatore li guiderà attraverso fotografie, installazioni, esperienze e un film.

Anthropocene è curata da Urs Stahel, Sophie Hackett e Andrea Kunard ed è organizzata dalla Art Gallery of Ontario e dal Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada, in partnership con la Fondazione MAST di Bologna.

 

Per maggiori informazioni: https://anthropocene.mast.org/

steve McCurry Albergo delle Notarie

Leggere – Steve McCurry

Dal 13 settembre 2019 al 6 gennaio 2020, la Sala Mostre delle Gallerie Estensi di Modena ospita la mostra Leggere di Steve McCurry, uno dei fotografi più celebrati a livello internazionale per la sua capacità d’interpretare il tempo e la società attuale.

In chiesa o in moschea, nelle strade o in casa, in un mercato, sotto una tenda, in mezzo alla natura o in una metropoli, in inverno o in estate. Turchia, Italia, Stati Uniti, Cuba, Afghanistan, India, Sud Africa. Che leggano una rivista, un fumetto o un libro, che siano giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici, per chiunque e dovunque c’è un momento per la lettura. Roberto Cotroneo associa poi ad ogni scatto un brano, coinvolgendoci ulteriormente e dandoci l’impressione di leggere le stesse parole del soggetto sbirciando da sopra la sua spalla, in un rapporto diretto ed intimo con lui.

Ogni scatto ritrae una persona, colta nell’atto intimo di leggere, proveniente da ogni angolo del mondo a testimonianza del potere magico e universale che la lettura ha sull’animo umano. Immortalate dall’obiettivo di McCurry che conferma la sua capacità di trasportarle in mondi immaginati, nei ricordi, nel presente, nel passato e nel futuro e nella mente dell’uomo, è istantaneo sentirsi trasportati in questi scatti e riconoscersi nei visi e nelle emozioni dei soggetti.

L’esposizione, promossa dalle Galleria Estensi Modena, organizzata da Civita Mostre e Musei, curata da Biba Giacchetti, presenta 70 immagini, comprende la serie che egli stesso ha riunito in un volume, pubblicato come omaggio al grande fotografo ungherese André Kertész, uno dei suoi maestri.

A completare la mostra è la sezione Leggere McCurry, dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto di Steve McCurry, molti dei quali tradotti in varie lingue: ne sono esposti 15, di cui alcuni ormai introvabili, e sono tutti libri accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, spesso le stesse icone che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.

 

Per ulteriori informazioni: Gallerie Estensi

chagall-home Albergo delle Notarie

Chagall. Sogno e Magia.

Dal 20 settembre 2019 al 1 marzo 2020, Palazzo Albergati di Bologna ospita una mostra dedicata alla poetica magia di Marc Chagall.

Attraverso l’esposizione di 150 opere tra dipinti, disegni, acquerelli e incisioni, la mostra racconta la vita, l’opera e il sentimento di Chagall per la sua sempre amatissima moglie Bella. Un nucleo di opere rare e straordinarie, provenienti da collezioni private e quindi di difficile accesso per il grande pubblico.

Curata da Dolores Duràn Ucar, la mostra Chagall. Sogno d’amore si divide in cinque sezioni in cui sono riassunti tutti i temi cari all’artista: la tradizione russa; il rapporto con i letterati e i poeti; il senso del sacro e la profonda religiosità che si riflettono nelle creazioni ispirate alla Bibbia; l’interesse per la natura e gli animali e le riflessioni sul comportamento umano; il mondo del circo; e, ovviamente, l’amore, che domina le sue opere e dà senso all’arte e alla vita.

La mostra è organizzata e prodotta dal Gruppo Arthemisia e si avvale del patrocinio del Comune di Bologna.

Per maggiori informazioni contattare il sito: Palazzo Albergati

Mona Osman Albergo delle Notarie, Reggio Emilia

Mona Osman – Rhizome and the Dizziness of Freedom

Collezione Maramotti presenta Rhizome and the Dizziness of Freedom, prima mostra personale in Italia della giovane artista Mona Osman.
Osman, cresciuta e vissuta tra Budapest, Nizza, Londra e Bristol, presenta un ciclo di nuovi dipinti realizzati per la Pattern Room della Collezione.

Osman ha lavorato contemporaneamente a tutte le nuove opere, in cui si ritrovano influenze e rimandi derivati da un lavoro concepito nello stesso tempo, in un unico spazio: l’ultimo anno, nello studio dell’artista.
Introdotta da un trittico di ritratti allestito su una parete esterna della sala principale, la mostra include tre grandi tele e due di medie dimensioni, tutte realizzate con olio e tecnica mista su tela.

Partendo dall’idea di affiancare episodi biblici a nozioni tratte dalla filosofia esistenzialista – e con l’intento di porre domande, più che di offrire risposte – Osman ha sviluppato pittoricamente una densa riflessione teorica e spirituale sulla ricerca del Sé.

Secondo l’artista, l’ambizione dell’uomo di pervenire a una comprensione assoluta e immutabile della sua essenza individuale si scontra con l’impossibilità di definirla, generando angoscia e sofferenza.
Due elementi ricorrono nelle opere in mostra: l’idea della Torre di Babele e quello che Osman chiama “Absolute Self”, il Sé Assoluto.
La Torre di Babele, simbolo dell’atto di superbia dell’uomo di elevarsi verso il cielo e della conseguente punizione divina, diventa paradigma dell’impossibilità di comunicazione tra gli individui e della derivante condizione di solitudine, dell’assenza di un “altro” attraverso il quale riconoscere noi stessi.
Il Sé Assoluto rappresenta la versione ideale e monolitica del Sé che cerchiamo di delineare e a cui tendiamo, senza mai davvero riuscire a raggiungerla. La realtà e l’esperienza inevitabilmente sfuggono al controllo, dischiudono scoperte inattese e mutamenti imprevedibili. Come il Sisifo di Camus, felice perché nella sua condanna diventa consapevole dei propri limiti e assume su di sé il proprio destino, l’uomo dovrebbe accettare la sua indefinibile condizione esistenziale e trovare appagamento in una dimensione più aperta e permeabile, abbandonando la sua volontà di chiarezza e di avanzamento perpetuo.

Osman si è dedicata fin dall’infanzia alla pittura e al disegno, attraverso i quali porta avanti un’investigazione delle percezioni e delle tensioni dell’uomo, spesso legate a uno stato di ansietà.
Ispirandosi a esperienze radicate nella sua storia personale, l’artista costruisce scenari gremiti di personaggi e narrazioni con cui indaga questioni esistenziali universali e le dinamiche di relazione tra gli individui.
Le tele, che presentano diversi livelli di profondità e di visione, sono densamente popolate di personaggi, pattern ed elementi che non appartengono a una dimensione e a un tempo definiti.
Lo sguardo è spinto a spostarsi da un dettaglio all’altro, esplorando la superficie dell’opera attraverso ritmi variati, associazioni e rivelazioni improvvise.
Connotato da pennellate corpose e da colori intensi, il suo linguaggio pittorico incorpora anche resina e collage, con cui Osman costruisce un’articolazione formale della superficie delle opere, in cui echi e stilemi di artisti come Klimt, Ensor e Mondrian appaiono liberamente rielaborati e inglobati senza evidente premeditazione né citazionismo.

La mostra sarà accompagnata da un libro d’artista in forma di sketchbook.

Per maggiori informazioni: Collezione Maramotti

helen cammock Albergo delle Notarie

Helen Cammock – Che si può fare

Helen Cammock, vincitrice della settima edizione del Max Mara Art Prize for Women e nominata al Turner Prize 2019, dopo la prima tappa londinese alla Whitechapel Gallery di Londra (25 giugno – 1 settembre 2019) presenta la nuova mostra Che si può fare alla Collezione Maramotti, che ne acquisirà le opere. L’allestimento, rielaborato dall’artista nello spazio differente della Collezione, sarà anche arricchito da un libro d’artista realizzato in luglio all’Istituto Centrale della Grafica di Roma.

Nell’opera di Helen Cammock si intrecciano la narrativa femminile incentrata sulla perdita e sulla resilienza con la musica barocca composta da musiciste del Seicento, ispirazioni e racconti attraverso cui l’artista ha esplorato il concetto del lamento nella vita delle donne attraverso storie e geografie.

Oltre al libro d’artista recentemente realizzato, la mostra include un film, una serie di incisioni su vinile, un fregio serigrafato e una stanza di ricerca in cui sono esposti libri e oggetti raccolti da Cammock e a lei donati durante il suo periodo in Italia.

La mostra è infatti il risultato di una residenza italiana di sei mesi nel 2018, organizzata da Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti, e ideata a misura dell’artista. Nel suo percorso, che l’ha portata a fare tappa a Bologna, Firenze, Venezia, Roma, Palermo e Reggio Emilia, Cammock ha deciso di esplorare l’espressione del lamento e riscoprire voci femminili nascoste. Nel corso della residenza musiciste, storiche, artiste e cantanti hanno aperto i loro archivi e condiviso narrazioni e ricerche.
Il video in tre parti che è al cuore della mostra consiste in interviste con alcune delle donne che Cammock ha incontrato nel suo viaggio, tra cui attiviste nel sociale, migranti, rifugiate, una suora e donne che hanno combattuto la dittatura. L’opera rievoca il potere delle voci femminili dall’epoca del Barocco all’Italia di oggi. Le loro testimonianze sono intercalate con brani musicali e filmati girati in Italia in un complesso collage visivo e orale.
Cinque stampe dai colori saturi rappresentano musica e voce mediante disegni al tratto e un lungo fregio a parete contiene immagini e parole legate alle donne che Cammock ha incontrato in Italia.

Che si può fare riprende il titolo di un lamento preoperistico del 1664 della compositrice italiana Barbara Strozzi (1619-1677). Cammock ha preso lezioni di canto lirico per imparare quest’aria, sulla quale si è esercitata nel corso di tutta la sua residenza.
La musica è un elemento ricorrente nella nuova opera video e nella performance dal vivo che avrà luogo durante l’inaugurazione della mostra: Cammock eseguirà la musica di Strozzi accompagnata da una trombettista jazz, facendo così rivivere l’eredità della compositrice attraverso la sua voce. La musica della coeva musicista italiana Francesca Caccini (1587-1641) viene incorporata nella performance come colonna sonora ad accompagnare la parte di movimento. Strozzi e Caccini erano famose presso i loro contemporanei, ma ben presto i loro nomi sono caduti nell’oblio e soltanto ora le loro composizioni vengono riprese ed eseguite ancora una volta.

Poetessa visiva i cui disegni, stampe, fotografie e filmati si affiancano a parole e immagini, Cammock porta avanti una pratica artistica multimediale in cui abbraccia testo, fotografia, video, canzone, performance e incisione, ed è determinata dal suo impegno a mettere in discussione le narrative storiche tradizionali sull’identità dei neri, delle donne, sulla ricchezza, sul potere, la povertà e la vulnerabilità. L’artista attinge dalla sua esperienza personale, insieme a riferimenti a storie di oppressione e resistenza, incorporando influenze provenienti da jazz, blues, poesia e danza, oltre alle parole di scrittori come James Baldwin, Maya Angelou e Audre Lorde. Cammock scava e riporta in superficie voci perdute, inascoltate o sepolte.
Per l’artista, la musica – da Nina Simone e Alice Coltrane alla seicentesca musica preoperistica italiana – consente di perseguire questa ricerca che esplora la complessità del concetto di storia.

Per maggiori informazioni: Collezione Maramotti

Ritratto di giovane donna del Correggio

Per cinque mesi i Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia accoglieranno uno dei capolavori del Rinascimento: il Ritratto di giovane donna del Correggio.
L’opera, eccezionale prestito dal Museo Ermitage di San Pietroburgo, giunge in una delle terre d’elezione dell’artista reggiano, a cinque secoli dalla sua esecuzione, attorno al 1520, grazie a un accordo firmato dalla città di Reggio Emilia e dalla Fondazione Palazzo Magnani con l’istituzione russa.

Il Ritratto di giovane donna di Antonio Allegri detto il Correggio (c.1489-1534) è certamente il più importante ritratto eseguito dal pittore. Nulla si sa della committenza e delle successive vicende collezionistiche del quadro: la sua prima apparizione moderna è nella raccolta del principe Jusupov nella Russia dei primi anni del Novecento.

Circa un secolo fa, gli studiosi si accorsero di uno degli aspetti più singolari del dipinto, ovvero della scritta che corre lungo il bordo della tazza d’oro nelle mani della ragazza: una citazione dell’Odissea di Omero che testimonia quanto il committente appartenesse a un contesto culturale di alto livello, appassionato prima di tutto della letteratura classica.
L’appartenenza della giovane donna a un rango elevato è dimostrata, inoltre, dalla composta eleganza degli abiti, dalla sobria presenza di gioielli, dall’elaborata decorazione dell’acconciatura: si tratta di forme tipiche della moda femminile dei primi del Cinquecento, ma trattate con grande originalità.

L’esposizione della Giovane donna consentirà di riprendere anche lo stato dell’arte sui molti aspetti ancora incerti che caratterizzano il dipinto: il nome della persona ritratta, l’interpretazione dei segni e dei simboli che la ornano, le finalità per cui fu dipinta. I tentativi di individuare la donna sono iniziati presto, e vi si cimentò per primo Roberto Longhi, uno dei più importanti storici dell’arte italiani, che volle vedere nella dama di Correggio la poetessa Veronica Gambara; altri studiosi, anche di recente, hanno proposto strade diverse per individuare la gentildonna.

Al di là della sua identità, siamo davanti a una delle prove più incisive del pittore correggese, molto probabilmente da poco rientrato in Emilia dal viaggio a Roma e dal confronto con le opere di Michelangelo e Raffaello. E questo avverrà in un contesto architettonico d’eccezione, frutto dell’impronta di un altro artista rinascimentale assoluto, quale fu Giulio Romano. Parliamo del contesto dei Chiostri benedettini di San Pietro, di recente oggetto di restauro e recupero funzionale su impulso di Comune e Sovrintendenza, ‘display’ culturale per la prima volta chiamato a ospitare un capolavoro della pittura di questo rilievo.

 

Per maggiori informazioni: Fondazione Palazzo Magnani